Siamo in transizione. Dalla Democrazia, verso il Totalitarismo

Stiamo vivendo un periodo di drammatica transizione. La domanda è DA cosa, VERSO cosa? La risposta: DALLA Democrazia, AL Totalitarismo.

Le misure decise dal Governo di Giuseppe Conte violano palesemente le libertà ed i diritti fondamentali delle persone stabiliti dalla Carta Costituzionale e hanno messo in panchina il Parlamento, espropriato delle sue funzioni legislative. Tutto nel silenzio – che a questo punto si deve prendere per assenso – dei vertici della Repubblica: i Presidenti di Senato e Camera e, soprattutto, del Presidente della Repubblica. Di fatto, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio colpo di Stato, orchestrato da quegli stessi uffici che dovrebbero invece preservare la nostra libertà.     

L’azione del Governo si è manifestata attraverso lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM). Ce ne sono stati, dal 25 febbraio ad oggi 28 aprile, ben dieci. La metà si è susseguita in rapidissima successione tra l’1 e l’11 di marzo: undici giorni, che hanno visto ben cinque diversi provvedimenti (1, 4, 8, 9, 11 di marzo), una media di uno quasi ogni quarantotto ore. Sarebbe da fare i complimenti alla Presidenza del Consiglio e ai suoi dirigenti, per la grande dimostazione di efficienza. Sarebbe, se non fosse che quello che viene ad oggi considerato uno dei più grandi, se non il maggiore, esperto di diritto costituzionale – e di diritto in genere – del nostro Paese, Sabino Cassese, in un’intervista a Il Dubbio del 14 aprile, ripresa poi su varie altre testate nazionali nei giorni immediatamente successivi, ha definito questi provvedimenti “una serie di norme incomprensibili, scritte male, contraddittorie, piene di rinvii ad altre norme.” Non proprio il massimo, per un Capo del Governo che è (a questo punto verrebbe da dire ‘sarebbe’) professore di Diritto.

L’azione del Governo è stata fin qui giustificata appellandosi alle condizioni di necessità ed urgenza. Per capire cosa sia previsto, all’interno del sistema legislativo e giuridico italiano, in caso in cui si renda necessario agire con velocità a fronte di situazioni ritenute urgenti, sono partito dalla fonte massima per questo genere di informazioni: la Corte Costituzionale. Ho ripreso un documento redatto dal suo Servizio Studi, La decretazione d’urgenza nella giurisprudenza costituzionale, a cura di Riccardo Nevola. Avvertenza: non si tratta di un documento vecchio di decenni, del secolo o millennio scorso. Al contrario: è stato pubblicato nel settembre 2017, due anni e mezzo fa. Non può quindi essere accusato di ‘vecchiaia’, di essere ‘obsoleto’: i pareri che riporta sono i pareri di oggi, non di anni fa.

Nella sua analisi, lo studio parte da quello che definisce la “Centralità dell’articolo 77 della Carta Costituzionale.”

Cosa dice, questo articolo? Il primo comma – si legge nelle pagine dello studio – “vieta al Governo senza delegazione delle Camere, di emanare decreti avente valore di legge ordinaria, sottolinea l’eccezionalità di quanto dispone il comma successivo che, al ricorrere di situazioni stringenti, consente l’adozione di simili atti.” Quindi, la prima cosa che fa, questo articolo, è di mettere in chiaro che al Governo è vietato fare di testa sua: il potere legislativo è in mano al Parlamento, e solo questo può emettere Leggi. Il Governo può, al massimo agire come delegato, se il Parlamento ha ritenuto di affidargliene la possibilità.

Il secondo comma abilita il Governo, “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, ad assumere, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge”. Bisogna prestare attenzione alle parole e agli aggettivi: si parla di casi eccezionali, in cui si riscontrino particolari condizioni di necessità ed urgenza, e si tratta comunque di provvedimenti provvisori, che il Governo prende sotto la sua piena e totale responsabilità. Come dire: chi sbaglia, paga. Non solo: tutti i provvedimenti presi appellandosi a condizioni di necessità, urgenza, devono però essere presentati, nel medesimo giorno in cui vengono emess, per la conversione in legge alle Camere, le quali vengono “appositamente convocate e riunite entro cinque giorni, anche se sciolte.” Ora, per quanto mi risulti, non mi sembra che nè Camera nè Senato siano state convocate per l’esame e la votazione dei dieci diversi DPCM che Giuseppe Conte ci ha propinato in questi due mesi e pochi giorni di quarantena. Particolare, questo, che pone seri e gravi dubbi sul ruolo che i Presidenti delle due Camere, ed il Presidente della Repubblica, hanno giocato e stanno giocando in questi frangenti: l’uno e gli altri avrebbero dovuto impegnarsi in prima persona perchè tutte le forme previste dalla Costituzione venissero rispettate, invece hanno fatto, come si dice, gli indiani, gli gnorri.  

A proposito della limitazione della possibilità del Governo di richiamarsi a situazioni di emergenza e necessità per atrribuirsi facoltà legislative, il documento del Servizio Studi della Corte Costituzionale richiama anche una sentenza emessa dalla stessa Corte in materia di decretazione d’urgenza: la numero 360/1996. In essa, “i giudici hanno qualificato la possibilità per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilità, atti con forza di legge come un’ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise, in quanto derogatoria rispetto all’attribuzione dell’ordinaria funzione legislativa al Parlamento.” Non solo, nello studio si legge anche che la certezza del diritto ”non tollera la vigenza di norme primarie intrinsecamente provvisorie se non per brevi e circoscritti periodi di tempo.”

Insomma, il Governo può legiferare, spinto dall’urgenza e dalla necessità – ed è indubbio che il coronavirus sia un’urgenza e una necessità – ma solo sotto stretta sorveglianza da parte del Parlamento, che non può e non deve essere messo da parte.

Non bisogna credere che la Corte Costituzionale si sia limitata, nel tempo, a parlare soltanto. Dal 2001 ad oggi, con il mutare delle condizioni generali di equilibrio tra Governi nazionale e governi regionali, e davanti ad “una più decisa assunzione dell’azione politica da parte del Governo, tradottasi in un crescente peso della decretazione d’urgenza”, la Corte Costituzionale non è stata con le mani in mano, bensì “l’ambito e l’intensità del controllo di costituzionalità si sono parallelamente rafforzati”, con sentenze che hanno portato alla dichiarazione di incostituzionalità di alcuni decreti emessi dal Governo.

A conclusione di quanto scritto finora, una nota importante: la legislazione per emergenza e necessità da parte del Governo si è sempre evidenziato per mezzo dello strumento del Decreto Legge, che è quello che la Costituzione riconosce ed affida. Quello che il Servizio Studi della Corte Costituzionale ha preso in esame, nella sua analisi. Il Governo di Giuseppe Conte, però, ha fatto leva sul DPCM, e questo esula completamente da ogni possibilità prevista nella Costituzione. In altre parole, anche semplicemente l’aver fatto ricorso a questo strumento pone Giuseppe Conte e tutto il suo Governo al di fuori dei dettami della Carta Costituzionale. Hanno violato la Costituzione. Ed è qui che da molte parti, studiosi di diritto costituzionale, giuristi, avvocati, si sono levate voci polemiche.

Riprendiamo, per un attimo, l’intervista di Sabino Cassese di cui abbiamo fatto cenno all’inizio. Come detto, il famoso costituzionalista reputa i provvedimenti presi dal Governo Conte, come “una serie di norme incomprensibili, scritte male, contraddittorie, piene di rinvii ad altre norme.” Aggiunge anche che Parlamento e Presidente della Repubblica sono rimasti esclusi “senza neppure il motivo dell’urgenza, perchè l’uno e l’altro organo hanno corsie preferenziali o di emergenza.” Sarebbe bastato ricorrere, “almeno per quelli più importanti, a decreti presidenziali”, invece di abusare dei decreti del premier. In definitiva, secondo Cassese si è verificata una usurpazione dei poteri da parte del Presidente del Consiglio.

Su questo punto, personalmente ho l’impressione che questa usurpazione non sia avvenuta senza una sorta di silenzio-assenso da parte di chi ha, per così dire, ‘perso il suo potere’. Se il Presidente della Camera dei Deputati, o la Presidente del Senato, avessero voluto, avrebbero potuto richiamare il Governo ai suoi obblighi di informativa nei confronti del Parlamento, ricordando anche che la funzione legislativa spetta solo ed unicamente alle Camere. Il Presidente della Repubblica, a cui la Costituzione affida il ruolo di ‘Garante’ della stessa, ovvero dei diritti e della libertà dei cittadini, avrebbe potuto e dovuto farsi carico di questo ruolo, espletarlo. Non l’hanno fatto.  

Formalmente, non l’hanno fatto, perchè “i Decreti Ministeriali o Decreti del presidente del consiglio sono atti amministrativi, sono atti secondari”, si legge in un articolo a firma di Riccardo Mastrorillo, La democrazia al tempo del coronavirus, su Fondazione Critica Liberale. Come tale, il DPCM “è un atto che non viene sottoposto ad alcun intervento di verifica, nel principio dell’equilibrio dei poteri”. ovvero, Parlamento e perfino Corte Costituzionale sono fuori dai giochi.

Interessante, su questo aspetto della questione, quanto scritto da parte dell’Avvocato Gianfranco Passalacqua, noto avvocato esperto di diritto amministrativo: “Perché si è utilizzato un atto amministrativo ( DPCM) invece che uno strumento normativo, previsto ‘in casi straordinari di necessità e di urgenza’, dato che si incide su diritti e libertà fondamentali? L’immediatezza sarebbe stata garantita, ed insieme la copertura costituzionale. Non si vuole il controllo del Presidente della Repubblica e del Parlamento? Il DL 6/20, art.3, atto avente valore di legge, dal quale il PdC – Presidente del Consiglio – trae legittimazione, non può delegare all’autorità amministrativa l’adozione di misure che intacchino libertà fondamentali (tra tutte libertà di circolazione ex art. 16 cost). Trattasi di riserva di legge assoluta. Pertanto è anticostituzionale l’intero impianto. Si pensi alla salute della democrazia non solo ai problemi organizzativi del sistema sanitario nazionale.”

Fortemente critico è anche un articolo apparso su Sistema penale, Coronavirus, deficit di legalità da rimediare. L’autore dell’articolo inizia affermando che “Il problema costituzionalistico ha a che fare direttamente con la base legale della limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini. Penso, essenzialmente ma non solo, alla libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e alla libertà d’iniziativa economica (art. 41 Cost.): due libertà che possono subire limitazioni, in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo, e che possono soccombere rispetto al superiore interesse alla tutela della salute pubblica, a condizione – questo il punto – che le limitazioni stesse siano previste dalla legge o almeno da un atto avente forza di legge.” Detto questo, si pone subito in posizione critica, scrivendo “Il primo interrogativo da porsi, alla luce, quanto meno, degli artt. 16 e 41 Cost., è se le limitazioni alla libertà di circolazione e alla libertà d’impresa, introdotte nei giorni scorsi, siano sorrette da una base legale, come richiede la Costituzione attraverso la previsione della riserva di legge. Il dubbio è che la risposta sia negativa e che, pertanto, sia necessario – o, quanto meno, opportuno – intervenire prontamente con un decreto-legge per sanare una situazione di dubbia legittimità costituzionale.” 

Apertamente critico anche l’articolo di Diritto.it “D.p.c.m. e limitazioni della libertà personale e di circolazione: presidi a tutela della salute pubblica o misure abnormi che indeboliscono la democrazia?”. La scelta delle parole, in particolare quell’abnorme, il punto di domanda, chiariscono immediatamente quale sia il punto di vista dell’autore dell’articolo. Che prosegue dicendo “ci domanderemo se i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanati in funzione del contenimento degli effetti pandemici da ‘coronavirus Covid-19’, possano atteggiarsi al rango di presidi essenziali e indispensabili di tutela della salute pubblica, quindi rispondenti a inevitabili e legittime scelte di politica emergenziale, o se, invece, appaia lecito paventare la loro suscettibilità a essere fatalmente relegati nell’area, oltre che della mera inopportunità politica, in quella dell’illegittimità giuridica (in tale ultimo caso si porrebbe, in prospettiva futura, una questione che merita già dai giorni nostri qualche approfondimento: il rischio che si possa configurare – e qui l’articolista arriva con quello che a briscola si chiama ‘carico da novanta’ – un pericoloso precedente che andrà a militare, in ipotesi estreme, a favore di una qualche ‘legittimazione’ di deprecabili tentativi di indebolimento dell’ordine democratico e della concezione di Stato di diritto).”

Impressiona quest’ultimo periodo: di fatto, si paventa la possibilità, ormai chiara, che tutto possa rientrare in un disegno di un colpo di Stato. Possibilità che, con il passare dei giorni e delle settimane in quarantea ed il susseguirsi di provvedimenti del genere DPCM, l’assenza di reazione da parte delle più alte cariche dello Stato, il silenzio di gran parte dei mezzi di informazione, assume sempre più forma e contorni.

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