L’abbazia del ‘fiume inverso’

DSCN5479 rOggi sorge isolata e quasi dimenticata nelle campagne tra Torino e la Val di Susa, ma ci furono anni, secoli, in cui l’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, o meglio Precettoria, era il centro di un piccolo mondo fatto di mercanti che portavano merci da una parte all’altra delle Alpi e di pellegrini che compivano il loro viaggio lungo la via Francigena verso la Città Santa di Roma. Entrambi, qui a Ranverso, incontravano un ‘hospitale’ dove rifocillarsi. Era anche il luogo dove i malati afflitti dal ‘fuoco di sant’Antonio’ trovavano un rifugio dove curare le ferite della malattia.

Inverso, o sinistro?
La prima cosa che colpisce, ancora prima di vedere l’abbazia, è quel nome, strano invero: il riferimento al santo è, ovviamente, chiaro, ma quel Ranverso ha un’origine del tutto particolare. Arriva, infatti, da ‘rivus inversus’, riferito a un canale nelle vicinanze. L’assonanza potrebbe far credere che ‘inversus’ stia per ‘inverso’, come se quel canale scorresse ‘al contrario’, ovvero in salita. Nulla di tutto questo, nessun fenomeno magico o paranormale: il termine ‘inversus’ sta per ‘dall’altra parte del nord’, ovvero a sud. Un’altra versione fa riferimento alla posizione del canale sulla sinistra (‘inversus’ rispetto alla destra, la parte preferita) orografica della Dora.

Un po’ di storia
Fondata dall’Ordine ospedaliero di S. Antonio di Vienne negli ultimi anni del XII secolo su volere del conte Umberto III di Savoia, è un esempio del tipico edificio religioso piemontese. Le prime notizie di una cappella in questo luogo si hanno già a partire dal 1156 ma solo nel 1188 è documentata la donazione del terreno da parte di Umberto III di Savoia, che diede in uso l’area ai canonici regolari di Sant’Antonio di Vienne, in seguito noti come ‘Antoniani’, che servisse da foresteria per i pellegrini e anche da lazzaretto per le persone afflitta dal “fuoco di sant’Antonio”.

In seguito, con l’avvento dell’epidemia di peste della seconda metà del XIV secolo, l’ospedale di Ranverso svolse un ruolo fondamentale per la cura e l’assistenza agli appestati, poiché venivano attuate apprezzabili pratiche di isolamento e cura delle piaghe infette mediante il grasso dei maiali per evitare l’espandersi dell’infezione.

Modifiche e rimaneggiamenti
L’abbazia è stata rimaneggiata e modificata più volte, nei suoi primi tre secoli di vita. Quello che possiamo ammirare oggi è, in realtà, ciò che rimane dell’intervento conclusivo a completamento della chiesa operato nell’ultimo trentennio del XV secolo su volere di Jean de Monthenou, commendatario dal 1470. All’epoca, il complesso comprendeva un ospedale, di cui rimane solo una facciata, la precettoria e la chiesa, ancora esistenti. Il declino successivo ha portato alla perdita di grosse parti della struttura originaria, mentre anche ciò che rimane è, spesso, in non perfette condizioni (ad essere buoni). Nonostante tutto, non manca di sollevare l’ammirazione del visitatore.

Arrivano i Mauriziani
Alla fine del XVIII secolo Sant’Antonio di Ranverso godeva di un consolidato potere sul territorio e la zona circostante appariva abbastanza popolata, a tal punto da giustificare la presenza di svariati edifici rurali. Nel 1776, dopo la soppressione dell’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, i possessi e le proprietà furono assegnate da papa Pio VI all’Ordine Mauriziano, ancora attuali detentori dell’abbazia. Il complesso è stato dichiarato monumento nazionale nel 1883 e restaurato prima da Alfredo D’Andrade e da Cesare Bertea all’inizio del Novecento.

La visita

L’esterno
Immediatamente si presenta uno dei punti di maggior interesse storico: è un pilastro in granito piantato saldamente sopra uno spuntone roccioso, posto al centro di un piccolo spiazzo proprio dinanzi all’ingresso principale dell’abbazia. Pare che il pilastro rappresenti la Tau, il simbolo degli abati che vivevano in questo luogo, e che si ritrova un po’ ovunque, all’interno come all’esterno. Il sasso con il pilastro era probabilmente anche una sorta di simbolo per i pellegrini ed i mercanti che qua arrivavano, un benvenuto per chi arrivava ed un buon viaggio per chi partiva.

La facciata
È uno dei punti in più si notano gli effetti degli interventi di rifacimento e modifica effettuati alla fine del 1400. La forma è a capanna, con tre archi frontali a sesto acuto sormontati da altrettante ghimberghe. Quella centrale, oltre ad essere fuori asse rispetto al rosone, per non impedirne la visione, contiene anche un’aquila, simbolo di Jean de Monthenou. Un piccolo atto di immodestia da parte del cellario (amministratore) della Precettoria.

 

Il portico, o nartece, che introduce nella Precettoria è un esempio dell’altissimo livello raggiunto dai mastri, locali e non, che hanno costruito il sito. A partire dalle formelle in terracotta che disegnano colonne, volte e pareti. La parte di maggior interesse artistico, però, è l’affresco che decora la parte d’ingresso e che racconta la storia del trasporto, via mare, della salma del santo da Costantinopoli alle coste francesi e, quindi, alla sua dimora finale, nel Delfinato. Notevoli anche le varie figure, più o meno fantasiose, in sasso che adornano capitelli e colonne e rappresentano sorta di invocazioni di protezione, quando non amuleti veri e propri contro il demonio.

L’interno
Oggi l’ingresso ufficiale alla Precettoria è attraverso il locale che ospita la biglietteria. Si supera una pesante porta in legno che conduce ad un piccolo porticato e al giardino. Qui, si trova la porta che introduce alla chiesa vera e propria. Ed è qui che il fiato del visitatore si fa corto, molto corto. Pochi attimi, e si viene sopraffatti dalla bellezza degli affreschi, degli arredi, dell’architettura e di tutti i dettagli che l’occhio riesce a raggiungere.

DSCN5530 rL’interno è a tre navate, con la centrale di maggiori dimensioni. Subito a destra della porta, sulla parere, campeggia un grande riquadro, un affresco purtroppo perso per sempre, a giudicare dalle sue condizioni. Il resto dell’espressione artistica, invece, è presente, magari con qualche danno, ma ben visibile o per lo meno immaginabile. Si possono anche notare, in alcuni punti, le sovrapposizioni tra affreschi e disegni di epoche diverse. Lo stile generale è tipico del Piemonte di allora, scuro, con la prevalenza del nero, il che rende il tutto molto elegante.

DSCN5488 rImmediatamente di fronte alla porticina da cui si è entrati è visibile un bellissimo affresco con Maria che tiene in braccio il Bambino. Colpiscono gli sguardi delle due figure: assorto, quasi assente, quello della Madonna; lieto, felice, anche bambinesco, quello di Gesù Bambino, che sembra protendersi verso il mondo, cercare di allontanarsi dalla Madre, quasi sapesse che la sua missione è altrove. Superando l’arco sotto l’affresco con la Madonna ed il Bambino si entra in una cappelletta che propone alcune opere interessanti: una Crocifissione, non completa, mancante di diverse parti, ma ugualmente molto forte nella tensione e nel dramma che trasmette. Sono visibili, sia pur a fatica, i disegni di diversi affreschi, forse mai realizzati, forse con i colori cancellati dal tempo, dal degrado, dall’incuria. Andando oltre, c’è un’altra cappella laterale che presenta la storia dell’Annunciazione, su pareti non regolari. Sull’altro lato, nella navata di cui fa parte anche la porticina d’ingresso, un affresco con un vescovo sovrasta un altare ligneo. A sinistra, nella parete, si apre una porticina, un pertugio che collega la navata alla sacrestia.

L’altare
L’altare è al di là di una cancellata in ferro. Era cosa abbastanza comune, secoli fa. Sulla parete di sinistra una serie di affreschi raffiguranti santi. Sulla parte di destra, all’interno di una nicchia, una stupenda rappresentazione del Cristo, morto, pronto per risorgere, circondato da tutti i simboli della sua sofferenza: il gallo che cantò tre volte prima dell’alba la notte in cui fu arrestato, la colonna dove fu legato per la fustigazione, la verga che lo ha picchiato, la trave con i chiodi per le mani, con il biglietto recante la scritta INRI, mentre dal nulla sbucano le mani dei soldati, con i dadi per giocarsi le sue vesti. La tunica bianca che avrebbe recato la sua immagine. Un racconto completo della vicenda della Settimana Santa, in pochi metri di spazio. Un capolavoro di sintesi e di arte, di emozioni e di fede.

La Sacrestia
DSCN5588 rSi attraversa lo stretto passaggio, pensando a quanto dovevano essere piccoli per muoversi agevolmente in spazi così ridotti, e un mondo di grazia e di bellezza si apre agli occhi del visitatore. È qui, in questo piccolo locale un tempo adibito a sacrestia, che l’arte della Precettoria di S.Antonio di Ranverso raggiunge il suo punto di maggior espressione. Nella poca luce delle lampade, lo sguardo corre da una parete all’altra, da una figura ad un’altra, da un racconto ad un altro, senza soste, quasi temessi di non riuscire a vedere tutto, come ci potesse essere un campanello a decretare la parola fine a quella visione. Finalmente, poi, la frenesia cade, l’ansia di vedere si placa, e cominci a guardare tutto, ad ammirare ogni singolo dettaglio ogni particolare.

In alto, sulla volta, ci sono i quattro Evangelisti, Giovanni, Luca, Marco e Matteo, ciascuno riconoscibile per i rispettivi simboli. Siedono su uno scranno e scrivono le pagine dei loro Vangeli. L’espressione è concentrata, quasi rapita, mentre pensano e ripensano agli eventi di cui sono stati testimoni e che stanno raccontando e descrivendo per i fedeli. Il colore nero ed i fregi che ricoprono travi e pareti rendono tutto molto elegante.

Dalla parete sud, i santi Pietro e Paolo sembrano osservare il visitatore, quasi a volerlo ammonire di mantenere un contegno adeguato al luogo. Le altre pareti raccontano le vicende della vita di Maria e del Cristo. Cominciando dall’Annunciazione, raccontata sulla parete nord, una finestra interrompe la scena, quasi a voler dare maggior forza alla voce dell’Arcangelo perché il suo messaggio giunga a destinazione. Notevole l’arte e la bravura dimostrate del pittore nell’integrare l’affresco con la bombatura e la curvatura della parete dove è la finestra. Sulla parete opposta, quella che collega alla navata laterale con un passaggio stretto, una rappresentazione molto d’effetto della preghiera nell’Orto degli Ulivi. Sulla parte sinistra dell’affresco, gli Apostoli dormono, ignari, vicini al Cristo fisicamente, ma così lontani spiritualmente. Sulla parete est, quella lunga che confina con l’abside e l’altare, l’affresco di maggiore intensità e drammaticità. È la Salita al Calvario, in cui l’artista ha concentrato una potenza espressiva incredibile, che non può lasciare indifferenti. Cristo è al centro della scena, con la Croce, il viso sfigurato dalla fatica e dalle sofferenze. Intorno a lui, una pletora di figure inquietanti e paurose: l’espressione del viso, o gli oggetti che tengono in mano, li identificano per quello che sono, torturatori, assassini, boia, gente che gode nel vedere il Figlio di Dio soffrire. Sulla destra della scena, le Pie donne affrontano il dramma della Crocifissione. Sulla sinistra, i due ladroni che affiancheranno Gesù sul Monte Calvario. Il racconto sacro finisce con l’immagine del Cristo che risorge, sulla parete est, sotto la finestra che taglia in due l’Annunciazione: l’inizio e la fine.

 

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4 Comments

  1. Ricordiamo ai visitatori e pellegrini del terzo millennio
    che recandosi a Ranverso si entra in una Chiesa luogo sacro con Ex Voto si celebra la Messa, e tutta dipinta con affreschi di Santi e Madonne, l’altare maggiore con la Statua lignea di Sant’Antonio Abate Protettore del borgo, un campanile, acqua santiera all’ingresso, l’antico organo,presbiterio poligonale con moltissimi simboli cattolici ecc….
    Siamo dei volontari culturali, su questa pagina abbiamo letto che la Chiesa e meglio chiamarla Precettoria ci potete spiegare perché?.
    Nel concentrico l’unica costruzione visitabile e la Chiesa e bisogna dirlo pure alle
    guide altrimenti creiamo confusione e una brutta esperienza con delusione dei cittadini che vengono in visita,
    un saluto dai volontari di Ranverso

  2. Un saluto a tutti i volontari di Ranverso. L’abbazia è nata come dipendenza della chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du-Viennois, da cui provenivano i fondatori: da qui, il titolo di ‘precettoria’ con cui anche la Fondazione Ordine Mauriziano la identifica.

  3. Grazie gentilissimo anonimo per la risposta molto disponibile al dialogo con i cittadini, sappiamo delle reliquie giunte a Motte San Didier attuale Saint-Antoine – du Viennois l’inizio del Culto per il Santo del deserto, l’origine costituzione dell’Ordine dei Monaci Antoniani che che dipendevano dall’Abbazia Francese e scelsero Ranverso come prima casa =Precettoria dove dormivano, prestavano cure e soccorso ai Pellegrini sulla Via Francigena che da Canterbury vogliamo informarvi che conosciamo il borgo dove molti di noi sono nati e cresciuti e sposati, Fino al 2004 proprio vicino al masso erratico l’Ordine del Mauriziano aveva posizionato una targa gialla con scritto: Ingresso Abbazia poi scomparsa, nel Pronao all’ingresso della biglietteria sul lato DX troviamo una targa marmorea che ricorda Alfredo D’Andrate l’Architetto che realizzò l’ultimo restauro nel 1914
    la scritta recita: restauro dell’antica Chiesa di Sant’Antonio di Ranverso, mentre sul lato SN dell’ingresso troviamo una targa memorabile in legno con la scritta:(( Ordine dei S.S Maurizio e Lazzaro custodi dell’Abbazia), durante il restauro venne trovata una scritta lasciata da Giacomo Jaquerio il pittore autore del 90% degli affreschi con scritto: Questa Cappella l’ho dipinta con le mie mani.
    Inoltre su Corso Moncensio il luogo viene segnalato in 2 termini diversi: provenendo da Avigliana il mega cartello indica Precettoria , venendo da Rivoli Abbazia.
    Potete verificare su Internet prevale al 99% il titolo Abbazia studiosi ricercatori poeti scrittori, Come potete notare proprio l’Archivio dell’Ordine del Mauriziano si contraddice , il Monsignor Italo Ruffino archivista Metropolitano e studioso della Vera storia degli Antoniani l’hanno sempre definita Chiesa Abbaziale , controllate su Internet anche il FAI , la Soprintendenza ,Wikipedia, Musei Italiani la chiamano Abbazia.

    Signori di questo autorevole portale Internet condividiamo il vostro articolo con titolo:( l’Abbazia del fiume Inverso), proprio perché tutta la vostra argomentazione con foto spiega l’interno e gli affreschi di Jaquerio , vi chiediamo per aiutare noi e le guide di modificare la scritta chiamandola Chiesa non bisogna confondere i Visitatori convinti di venire a Ranverso per visitare cose che non esistono più es…. Ospedale, Monastero con Sala Capitolare e biblioteca, oppure luoghi inediti non c’è niente di vero.
    Tutto il concentrico lo possiamo anche chiamare Precettoria , ma vogliamo ricordare che l’unica costruzione visitabile è la Chiesa dove entrando i visitatori debbono rispettare il silenzio e farsi il segno della croce, noi Cittadini Devoti e Volontari ci battiamo perchè continui ad essere chiamata la Chiesa di Sant’Antonio Abate di Ranverso.
    Dopo avere dedicato il nostro tempo per fornirvi tutte queste precisazioni, aspettiamo una vostra gradita risposta,
    un cordiale saluto dai volontari Ersilio Teifreto

  4. Buongiorno sig. Teifreto, grazie per l’attenzione che osserva per il post, e per le diverse osservazioni di carattere storico che ha fatto.
    Il post non si propone di essere una guida turistica, ma solo il racconto di una visita, un’esperienza. Come tale, ha valore per quanto trovato e vissuto in un momento preciso. E’ questo, il racconto delle sensazioni che quanto di bello – e a volte di meno bello o di brutto – si puo’ trovare in un luogo, in un’attrazione, in un monumento, una chiesa o un museo, che si vuole trasmettere. Le informazioni prettamente turistiche vengono lasciate ad altri siti web.
    Nel caso in questione, queste informazioni sono reperibili sul sito web dell’Ordine Mauriziano, dove
    nell’informare sugli orari e sulle possibilità di visita,si titola “Precettoria di Sant’Antonio Ranverso”.

    Cordialità,
    Franco Cavalleri

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